Grazioso David
Ispirata all’avventura spaziale, la pittura di David ci presenta immagini ellittiche, cerchi, sfere, spirali, che si intersecano, si oppongono e di mettono in armonia tra loro secondo il ritmo di una musica astrale riprodotta in colori e vibrazioni di colore. La “melodia delle sfere” di cui parlava Pitagora e la danza dei corpi celesti a cui si riferiva Keplero diventano qui rifrazione cromatica di stati di animo dell’inconscio collettivo dell’uomo di oggi di cui rispecchiano la quintessenza interiore, non come piatta riproduzione dell’esistente, ma piuttosto come registrazione arcana dell’invisibile e come tensione ai confini dell’inesplorato.
Il dinamismo del segno e la scansione spaziale delle forme possono far pensare alla prima pittura futuristica, specie a Boccioni e Balla, con la differenza tuttavia che il taglio geometrico di David non tende tanto a rispecchiare il movimento convulso delle macchine, quanto a fissare l’archetipo astrale che le trascende, sviluppando quella tendenza cosmica della pittura che nel futurismo rimane solo una tendenza marginale.
Antonio Marasco
I cavalli di David tra classicismo ed espressionismo
Nella pittura di David Grazioso l’elemento fantastico-metafisico si innesta su una visione
della natura sentimentale come dimensione libera e selvaggia di primigenio slancio vitale proiettata su uno sfondo cosmico e arcaico. I cavalli, che campeggiano su cieli corruschi percorsi da brividi misteriosi di luci trasversali e radenti, emergono da scogli e brughiere, nello scatto nervoso dell’impennata verso l’alto, a metà strada tra l’assalto erotico dello stallone infuocato, e la carica rabbiosa del destriero in battaglia, sono i protagonisti assoluti di questo mondo mitico e surreale. Cavalli biondi dorati, bagnati di luce solare, cavalli neri inchiostro come la notte, cavalli rosso fuoco, alitanti lingue di fiamma, cavalli verdi come l’erba, azzurri come il cielo, blu elettrico come lo scintillio della folgore. Cavalli sauri maculati come pantere, che nel morso aperto disvelano una nativa ferocia, cavalli bruni iridati di strisce di sangue, con la criniera scapigliati e le narici ardenti, protesi nell’impeto di uno scontro frontale, cavalli argentei intrisi di un velo lunare, che emergono da un crepuscolo incerto, in cui l’albeggiare del giorno lotta con la persistenza delle tenebre. Destrieri avvolti da un chimerico alone di sogno e di mistero, che sembrano discendere alati dal cielo o volgersi audaci verso le nubi, ma al tempo stesso scalpitano contro la spuma avara di un mare scoglioso, le sabbie di aridi deserti, i crinali di colline spoglie e pietrose: cavalli non domi, della famigli degli ippogrifi, degli unicorni e dei liocorni favolosi, che partecipano, nella vibrazione scapigliata degli arti, nella tensione scattante dei tendini, nello stravolto profilo della testa magra e della bocca schiumante, delle forze elementari della natura: aria, acqua, fuoco e terra.
Se la matrice futurista esprime il gioco dinamico dei ritmi, l’energia dello slanncio vitale allo stato puro, l’eleganza quasi di danza dei movimenti e delle forme, fino al limite di un vorticismo appena sfiorato, la sezione espressionista si rivela nei quadri di David per il tratto secco e talvolta quasi scheletrito del segno, per l’incrocio tempestoso dei violenti chiaroscuri, per l’accensione apocalittica delle luci e dei colori che sembrano emergere da una fonte invisibile, astrale, come globi sospesi nel nulla, segnali ambigui di disperazione e di speranza. L’uso del colore, recuperato da una tradizione eccentrica, tra il gotico e il rinascimentale, della scuola ferrarese e veneziana, a una scansione di significato decisamente moderno, che è passata attraverso la dirompente coplazione e dissociazione cromatica dei Kandisky e dei Klee, è determinante, per il suo carattattere antinaturalistico, nell’espressione dell’ansia esistenziale che sottende e trasfigura il dato figurativo originario. La gamma dei toni, nelle variazioni cromatiche di David Grazioso sull’archetipo cavallo, oscilla dalle macchie cupe e fosche dei neri, blu cobalto, rossi amaranto, orifiamma e viola fino alle festose iridescenze dei verdi teneri, dei rosa delicati, dei grigi e degli azzurri, quasi a rendere, di volta in volta, la nota dell’angoscia chiusa o incombente in una lotta senza quartiere tra le forze selvagge del cosmo scatenato, o quella di spontanea meraviglia di fronte a una natura che riemerge fresca ed intatta con incanto primaverile dalla distruzione e dal caos. Un alitare quasi invisibile di vento sembra percorrere, tra un trascolorare di arcobaleni e di bufere, questi cavalli fantasmagorici, quasi velati da una sottilissima e pellucida venatura di pioggia, che sembrano sospesi e come perplessi tra l’abbraccio gioioso e l’attacco furente, l’amore e la guerra, emergenti tra le acque primordiali e i cieli del mito, divisi tra l’accettazione notturna verso le tenebre e l’aspirazione verso la conoscenza luminosa del giorno.
Questi cavalli, colti nel momento in cui si inalberano e imbizzarriscono, come percorsi da fremiti e sussulti, anelati e inquieti, eppure meravigliosamente vivi e fiammeggianti rivelano un’ansia di libertà sfrenata e ribelle che dalla terra di proietta verso l’inifinito, quasi ultimo residuo di una oscura volontà di esistenza che resiste all’inaridimento e allo sfacelo, ma al tempo stesso testimoniano, nella loro disperata volontà di purezza, l’assenza deliberata dell’uomo. In questa personalissima interpretazione del “Blaue Reiter” , C’è il cavallo, ma non il cavaliere, quasi che l’uomo, in questo mondo nuovo riscoperto di bagliori obliqui della tempesta, stranamente arcaico ma insieme inevitabilmente futuribile, dove la natura appare enigmaticamente trasfigurata da una luce metafisica, potesse esistere solo trasferito come presenza fantomatica nella ambigua polivalenza del simbolo.
Francesco Mei
Di Benito Corradini
E meriti la luce che rischiara i tuoi cerchi e i vorticosi giri nello spazio. Tanti i colori avvolti nel mistero e nel silenzio, su in alto sopra le spente nuvole oltre le note cose. Vanno le sfere armoniche e prendono i tuoi sogni: già tu sospiri nella nuova realtà, della speranza antica, ferma nella memoria, tra spazi siderali dell'inconscio. Stringi l'immagine alla luce e alla potenza: dal tanto blu del cielo rischiari al mondo la forza cibernetica che attrae.
Benito Corradini
Sull'arte di Grazioso
Apollinaire, parlava, riferendosi all'esperienza cubista di frontiera dell'illimitato e dell'avvenire e di "colori mai visti" aperti alla sensibilità dell'artista moderno, ma in David l'esperienza cubista e futurista appare assimilata a una nuova figurazione che tende ad andare oltre le premesse dell'avanguardia storica basata sull'esplosione nichilista della materia, per giungere ad una presa di coscienza della nuova dimensione spaziale, animata da un anelito gioioso di speranza.
Francesco Mei
Dalla critica di Franco Desideri
Era un pomeriggio del lontano ottobre del 1953. Un bell'autunno romano che ci faceva pensare a certi paesaggi di Scipione, di Mafai e di Quaglia. Ecco, ad un certo punto, spuntare la sagoma familiare di Sandro Penna su lBabbuino con dei dipinti sotto braccio. Chiesi a Sandro che cosa aveva da fammi vedere. Sandro Penna che, com'è noto, è stato uno dei maggiori poeti italiani di questo secolo, per sbarcare il lunario è stato sempre molto vicino ai pittori che più stimava e di cui vendeva le opere.
Fu così che Penna mi fece vedere quello che aveva sottobraccio; erano due splenditi dipinti: "Un Marinaio" di De Pisis di straordinaria fattura e bellezza, e una "Scena Maremmana"con dei cavalli che dominavano il paesaggio di David.
Sapevo chi fosse De Pisis, ma non conoscevo David. Chiesi a Penna chi fosse David e mi rispose che era un giovane artista che gli era stato presentato da Marasco, uno dei maggiori futuristi italiani.
Ora, David, non è più un giovane artista. Sono passati 30 anni da quel primo incontro con una sua opera. Da allora l'artista toscano, che ha scelto Roma come sua città adottiva, ha fatto voltastrada. Per molti anni David continuò a dipingere i suoi bellissimi cavalli, maremmani, quasi vivi e scalpitanti, ma dagli inizi degli anni '60, insieme a Sante Monachesi, ha fondato l'astralismo e si è dedicato intensamente a questa sua nuova svolta nell'arte.
La figurazione ha lasciato il posto a belle immagini inventate ed astratte, ma dalle quali non manca mai la radice umana. Ovvero, un'astrazione che non nega la figurazione. Dietro il simbolismo astratto di David è sempre evidente, come lo era nelle opere di Boccioni, l'urgenza di una storia da raccontare. Così che l'elemento umano non viene mai negato e l'immagine delle cose ha una sua presenza significativa dietro le rappresentazioni astratte.
Franco Desideri
Di Renato Civello
Ogni mostra di David è sempre una piacevole sorpresa; e non tanto perchè il pittore tenti di incardinare il dialogo ad un linguaggio nuovo( non potrebbe, se non rinnegando la purezza del proprio sentire), quanto perchè ripropone, con vena fertilissima, varietà di intonazione e di accenti sulle premesse univoche della sua visione estetica. I cavalli di ieri, individuabili fra le. cento analogie di un tema ricorrente, sono quelli di oggi, ma più lucidamente favolosi nella prospettiva di un racconto sapidamente permeato di venature popolaresche. Così le nature morte coi lamponi e le colombe, pietrificate risentono di una più congrua rispondenza dell'artista al bisogno fantastico: rarefatte e talvolta immerse in una boreale opalescenza, denunciano il superamento del limite sensorio.
Grazioso David ha arricchito sempre più la disposizione fantastica, ma prima ancora la propria spiritualità, testimoniando una fervida adesione alla immagine ed una intelligenza scevra di sottintesi raziocinanti. Una umanità "intera" non può produrre, trasferita nell'area del divenire artistico, che opere "intere", nelle quali lo schermo tra ideazione e sentimento, fra ricerca e realizzazione è completamente annullato. Qualsiasi pretesto assunto in termini di pittura, definito nelle dilatazioni dell'ocra e del violazzurro dell'arancione o del glauchescente, si solleva senza sforzo fino al rango di una invenzione aristocraticamente mitizzata. E' l'effetto emotivo che se ne ricava è duraturo, perchè lo stupore non è accessorio all'esperienza esterna, ma promana dal momento stesso dal farsi poetico. Dal punto di vista costruttivo si può affermare che l'opera di David, pur ubbidiendo a degli etimi intuitivi, ma di rigoroso impianto, accorda in un modo indissociabili segno e colore: artista enuncia volumi piani dal colore stesso senza sconvolgere l'ordine della composizione.
Certe arditezze strutturali, come nel dipinto: Il Conte di Santa Fiora uccide il drago, con la netta interruzione traspersa dell'organismo ciclico e con lo assottigliamento quasi filamentare dei corpi completano idealmente il processo trasfigurante. Oltre tutto, questa personale allestita alla "Balduina" rientra come le precedenti, in un discorsoestetico del tutto unitario.
Renato Civello